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Primo: difendere dipendenti e fornitori

di Nino Ciravegna

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25 settembre 2009

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Qualsiasi lavoro, pur di lavorare
Da un paio di anni Zannini ha aperto uno stabilimento, con 50 addetti, a Katowice, nella regione industriale della Slesia, profonda Polonia: «Non mi piace parlare di delocalizzazione, ma di internazionalizzazione: siamo stati costretti ad andare in Polonia per poter seguire meglio i nostri clienti nel settore dell'automotive. E devo dire che l'esperienza polacca ci è servita anche per trovare nuovi clienti in Italia. Per esempio, ora lavoriamo da Castelfidardo con la Magneti Marelli, che ci ha conosciuto, e apprezzato, in Polonia. Quindi l'impianto polacco non ha penalizzato i lavoratori italiani».
L'esperienza di Katowice è significativa anche sul fronte del lavoro: «In Polonia non ci sono ammortizzatori sociali, quindi o si lavora o si licenzia. Di fronte al crollo degli ordini ho radunato tutti i dipendenti e ho fatto un discorso secco: siete disposti, pur di lavorare, a fare attività umili? Hanno detto che erano disposti a tutto. Sono andato in giro con la valigetta a fare proposte e ora nello stabilimento polacco facciamo sgrassaggi manuali di prodotti meccanici o montaggi di piccoli particolari, attività a basso valore aggiunto che erano fatte da piccole imprese locali: abbiamo dato metodo e organizzazione, con il risultato che a Katowice si lavora anche al sabato».

La difesa del made in Italy in Italia
Gianfranco Tonti punta tutto su quella che definisce la fabbrica territoriale: «La nostra attività, dalla progettazione al prodotto finito, la facciamo in Italia, meglio ancora se sul nostro territorio. Da trent'anni lavoriamo con gli stessi fornitori e le stesse banche: siamo cresciuti insieme e non ritengo che collaborazioni così lunghe siano sbagliate. Con rapporti collaudati è più facile capirsi». Industrie Ifi esporta circa il 30% della produzione: al nuovo gioiello di famiglia, la Tonda, un sistema circolare per la conservazione e l'esposizione di gelati artigianali, avevano affidato l'obiettivo-export di cento paesi: «Siamo arrivati a 46, ma la scommessa resta valida. Quando finirà la crisi, che ha bloccato gli investimenti, avremo soddisfazioni in questo settore».

I cinesi, al momento, non fanno paura
Nelle minuterie metalliche le imitazioni cinesi non hanno sfondato: «Lavoriamo su commessa, con alti volumi, e specifiche tecniche molto particolari - assicura Zannini - che richiedono grandi sistemi di automazione e costi di distribuzione molto bassi. Bisogna lavorare a fianco del cliente. Il problema, casomai, si porrà se e quando i nostri committenti si sposteranno in Cina o Malesia per produrre auto o altro: in questo caso saremo noi che dovremo porci il problema se andare in Cina».
Industrie Ifi invece ha qualche problema con le imitazioni cinesi: «È già successo con una sedia, imitata quasi perfettamente anche se con materiale scadente. E abbiamo dovuto fare battaglie legali in Corea per difendere i nostri brevetti. Ma il made in Italy conserva quel fascino che ci pone al riparo da arredamenti cinesi».

Il dopo-crisi? Acquisizioni e fusioni
Zannini assicura: «Nel secondo trimestre abbiamo colto primi timidi segnali di recupero. Qualche giorno fa ho partecipato alla presentazione del Centro studi Confindustria: dati impressionanti, ma che non mi hanno scoraggiato. Il fondo del barile è stato toccato, peggio non può andare. Ci vorranno quattro o cinque anni per tornare ai livelli produttivi pre-crisi, un tempo troppo lungo. Per questo stiamo studiando alcuni dossier di piccole imprese concorrenti o collaterali alle nostre attività: nel giro di pochi pesi speriamo di procedere a un'acquisizione. Ci stiamo convincendo che prima o poi dovremo trovare il coraggio, noi imprese familiari, di avviare scambi di azioni o fusioni per poter essere competitivi a livello globale. Crescere per sviluppo interno, ormai, è una pia illusione».

La capacità di vedere tra cinque anni
A Pesaro stanno lavorando a nuovi progetti che vedremo industrializzati, se i risultati saranno positivi, tra cinque anni. Un tempo indispensabile per cogliere le nuove esigenze dei consumatori, dare loro una forma e avviare la fase produttiva. Tanto ci è voluto per l'ultima linea di arredamento bar, Platinum concept. Un tavolo per bancone, niente pedana rialzata per il barista, solo vetro e metallo, senza armadi chiusi. Da clienti a ospiti, ecco come sarà il bar prossimo venturo, quello del post-grande crisi.
nino.ciravegna@ilsole24ore.com

25 settembre 2009
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